Il contagio avanza ad ampie falcate e si propaga sempre più tra di noi, nel quasi silenzio dell’opinione pubblica che parla ancora e sempre e solo di influenza e di Covid.
I poveri sono sempre più numerosi e ogni giorno sembra che ce ne siano di nuovi. Non fai a tempo a girarti che te ne trovi uno che fino a ieri era qualcos’altro, ceto medio per esempio. Ma non solo. Anche i lavoratori, persone normali senza troppi vizi o stranezze, ci cascano e diventano poveri. E con loro, spesso e volentieri, diventano poveri anche i loro familiari: il coniuge, i due figli, qualche cugino. Uno lavora come sempre, nello stesso posto di lavoro, con le stesse mansioni, le stesse ore e un giorno qualsiasi si ritrova povero. Si alza dal letto al mattino, alza le persiane, fuori c’è il sole e lui diventa povero. Asintomatico per giunta.
Infatti generalmente nei giorni precedenti non ci sono avvisaglie, oppure segnali evidenti che possano creare allarmi o allarmismi, al massimo l’improvvisa sparizione di alcune banconote, la mancanza di quattrini. Visti i dati, evidentemente, la povertà si trasmette velocemente, con facilità e predilige certi luoghi che possiamo definire veri e propri focolai, zone ad alto rischio. Sono da evitare: i bar delle periferie, le periferie stesse, i prontosoccorso, le fabbriche, gli stadi d’Italia, le nuove generazioni, i centri per l’impiego, i cantieri edili, le mense, le code per i pacchi alimentari, il traffico, le utilitarie, i centri estetici, le regioni del Sud, gli oratori, netflix.
Non solo una stretta di mano ma anche solo parlare con un povero può essere contagioso. È una malattia talmente pericolosa che ormai nei casi più gravi è sufficiente guardare un povero che si diventa poveri in automatico, di conseguenza. A volte basta vederlo da lontano, tanto è potente il virus.
Nell’attesa della medicina, di una cura adeguata, i poveri cercano di guarire arruolandosi nell’esercito, giocano alle macchinette, il libretto postale della nonna, rubano, diventano prete.
Rud Inacio